Intrappolato

Intrappolato

Ho paura di restare intrappolato,
dentro questa casa,
dentro questa cosa;
alta,
muri neri,
finestre che non si aprono.
Una storia,
la solita storia, piatta calma morta.
Ho paura,
non ne esco, finisco;
ho paura,
l’immaginazione
mi sta lasciando.
Resisto,
sospiro
e vivo…
non più,
dentro questa maledetta Prigione!

Il rinnovo,
il contratto,
il sogno,
la fine dei sogni;
il castigo,
le responsabilità,
la macchina:
andare e non andare.
Respiro,
domani,
domani dovrò,
ancora,
ripensare…
Ce la farò?
No!
Per me è finita,
è andata così.

(9° capitolo, Sulla strada della Follia)

Marco MR ©

Prigionieri del tempo

Prigionieri del tempo

Arriva per tutti, prima o poi, quel momento in cui…

Ti svegli alla mattina, bevi il tuo caffè, ovviamente ti scotti la lingua, caghi e parti per un mondo senza colori e senza speranze per ritornare a casa alla sera con la schiena a pezzi e l’emicrania. Medicine a gogò.
Incastrati nel tempo. Tutte quelle ore di lavoro, poi la spesa e la fila alla cassa; torni a casa e devi sistemare il disordine, cucinare e lavare i piatti. Mangi finalmente la tua cena, che però non sa di nulla perché tanto non sai nemmeno cucinare, e dopo te ne vai a dormire, perché sei esausto, perché ti sei rotto di tutto.
E poi ancora, lo stesso, domani, un altro giorno, un altro giro. Da capo. Senza novità, senza scampo.
Prigionieri. Tu vorresti pure provare a fare qualcos’altro. Magari imparare a suonare la chitarra. O continuare a studiare. A scrivere. Quello che ti pare. Vorresti, ma non ce la fai. Devi stendere i panni e ricordarti di raccoglierli, sperando nel frattempo che non piova, perché altrimenti non sapresti come fare per asciugarli. Ma tu ami la pioggia…
La posta e la banca. Il gommista e il collaudo: non passerà!

Il fatto è che quando ti dicono che la vita è dura, non mentono: la vita è dura, terribilmente. Non hai una spina da attaccare alle presa quando esaurisci la tua energia. Quando finisci la passione. Non basta dormire. Non basta nemmeno uscire o andare in vacanza. Non basta bere o fumare.
Sempre in ritardo, sempre in affanno. La vita è dura, terribilmente…

(8° capitolo, Sulla strada della Follia)

Marco MR ©

Vagabondo

Vagabondo

Non voglio restare,
è l’unica cosa a cui riesco a pensare.
Non voglio restare,
è l’unica cosa di cui riesco a parlare.
 
Lo sguardo perso nel vuoto.
Il calore disperso nel cielo.
La bottiglia. I cartoni. Gli stracci.
L’immaginazione.
Sono in viaggio. Solo in viaggio…

Un foglio bianco.
Continuo a guardarlo,
continuo a leggerlo…
Io, in questo “mondo”,
non voglio restare!

(4° capitolo, Sulla strada della Follia)

Marco MR ©

La Prigione

La Prigione

Come una calamita che mi attira e mi trattiene… così fa con me questo paese. Vorrei andarmene da anni, eppure…

Sono ritornato nella stessa Prigione maledetta, dopo che finalmente ero riuscito a evadere. Sto scontando qualche pena, pare sia molto lunga. Devo aver fatto qualcosa di terribile in qualche vita precedente e sto espiando solo ora tutte quelle colpe. Provo a forzare le sbarre. Provo ad allungare il braccio sperando di arrivare alle chiavi del custode. Provo a scavare, ma niente. Non c’è libertà per me. Non c’è speranza. È questa la fine dei miei sogni. Solo, rinchiuso, disperato… e fuori dal quel Mondo… che nel frattempo sta andando avanti e vive. 

Ho cercato di fuggire tante volte e per questo sono stato punito. Avrei dovuto aspettare, forse. Magari uno sconto. Magari un colpo di fortuna. Ma quella voglia, quella tentazione… erano così forti.

Dovevo provarci. Dovevo scappare. Dovevo vivere… 

Marco MR ©

La Finestra dell’Ospedale

La Finestra dell’Ospedale

Sono chiuso in questo ospedale da giorni, all’interno di una piccola stanza con due posti letto. Il mio è quello vicino alla finestra. Se mi tiro un po’ su col collo riesco a vedere fuori la gente che passa. La signora anziana col bastone, giovani medici, qualche bambino che corre e i genitori.

In camera ogni tanto entra un’infermiera. Ogni tanto un amico.
Poi vanno via ed io rimango di nuovo da solo. L’altro letto non è occupato.

Non ci sono molte cose da fare in ospedale. Stai un po al PC, leggi, cerchi qualche sito per guadagnare dei soldi con Internet, ma nulla. Mi sento inutile. Tutto ciò che faccio sembra solo una specie di ripiego, una vano e disperato tentativo di sentirmi ancora vivo, quando di vita in me ce n’è rimasta ben poca. Sto bruciando.

Se potessi uscire almeno un giorno. Un solo giorno di vita sana e aria libera.
Se solo potessi trasferirmi nel corpo di qualcun altro e provare per un attimo cosa vuol dire stare bene, ridere, amare, baciare, fare l’amore, sentire, viaggiare, giocare, saltare, correre, nuotare, scherzare, dormire. Cosa vuol dire essere normali.

E mi dispiace […] Peccato, perché mentre gli altri vivono, io guardo, inerme, come uno spettatore che non può intervenire. Vorrei partecipare. Vorrei prendere parte anche io a questo film. Perché sento che sarei un gran bel protagonista… e invece sono solo uno sconosciuto, una comparsa costretta a starsene seduta sul letto bianco di una stanza bianca di un ospedale bianco che guarda la gente passare dalla finestra. Bianca.

Se solo potessi guarire. Se solo sapessi come guarire. Se solo sapessero come guarirmi.

Cosa farei se potessi uscire da questo ospedale? Se mi dicessero: “È tutto ok, vai pure”. Se tutto questo fosse solo un controllo di routine, come il collaudo della macchina: “Devi solo cambiare l’olio, e far sistemare la freccia”.  Cosa farei se potessi davvero alzarmi da questo letto, muovermi verso la finestra e fermare quelle persone che vedo passare ogni mattino…

Marco MR ©

Le catene di Gulliver

Le catene di Gulliver

Vedo il cielo ripiegarsi e poi rovesciarsi in un terribile vortice grigio e nero…
Sono caduto e ogni microscopica parte di me è ferma. Lo scorrere del sangue, l’elettricità dei nervi: è tutto spento.
Vedo te, vedo loro, vedo tutti che vanno, che marciano. Ogni faccia trasuda sicurezza e coraggio, e corre verso un preciso traguardo. Tutte le gambe del mondo si moltiplicano, formando così una lunga scia di scarpe sfreccianti. Dove finirà?
Non riesco più a muovermi, sono steso al suolo come Gulliver. Qualcuno deve avermi legato. Devono esser state le mie paure… lillipuziane. Piccole, ma grandi.
Vedo te, vedo loro, vedo tutti che vanno e mi sorpassano. Mi assordano con la loro felicità. I loro sorrisi mi accecano. Quando finirà?
 
E più provo a liberarmi e più queste catene mi feriscono,
e più sto male e più mi agito,
e più mi agito e più sprofondo,
e crollo nella voragine del silenzio
e della dimenticanza…
 
Schiacciato, a terra, dalla mia stessa massa denervata e prosciugata.
 
(4° capitolo, Sulla strada della Follia)
 
Marco MR ©

Le celle della Ragione

Le celle della Ragione

Scaraventi il cellulare sul pavimento con tutta la tua forza, inizi ad imprecare contro ogni santo esistito e mai esistito, pugni ai mobili e schifo. Schifo nel vedere il cellulare spaccato per terra, l’anta del mobiletto spezzata, il polso gonfio e il cuore che batte…

Tutta la rabbia accumulata esce fuori e ti trasforma in una belva. Prende il comando del tuo corpo, si impadronisce d’ogni goccia di sangue, infuocandola, accelerandola. L’irrazionalità prende il sopravvento, ogni molecola d’aria viene dilaniata dalla linea sottile dell’equilibrio appena spezzata.

Sei libero. Dimentichi tutto: divieti, convenzioni sociali, consigli, rispetto, persone. Ti sei finalmente lasciato andare e ti godi quella piacevole sensazione di leggerezza, unita all’esplosione del cuore… e non te ne vergogni. Sei nudo e non ti frega più di nulla. Come Hulk. Solo che non diventi verde.

Peccato che dura solo un attimo, un breve attimo di libertà e di evasione dall’educazione. La razionalità è troppo più forte. Ritorni ad essere te. Normale. Cosciente… Il cellulare spaccato, l’anta, il polso che pulsa e il senso di colpa. Tutto è finito. Sei di nuovo tu. Solo, imprigionato nelle celle della ragione.

Marco MR ©