Libertà Estrema

Libertà Estrema

Mi divertiva guardare i loro volti mentre Chris bruciava i suoi soldi, mollava l’appartamento e partiva per l’ignoto con l’unico obiettivo di vivere la sua vita. Erano troppo in difficoltà, glielo si leggeva in faccia. Non concepivano proprio come uno di buona famiglia con la strada spianata verso il successo e la ricchezza potesse mandare tutto a quel paese e partire per l’incerto.
Guardavamo questo film insieme… e “ridevo”. Ridevo perché stavano (e stavamo) scoprendo il significato della libertà.
Svegliarsi tutte le mattine alla stessa ora, mangiare sempre alla stessa ora, tornare a casa sempre alla stessa ora; lavarsi, divertirsi, studiare, ecc.; sempre alla stessa ora. È questo che avevano (e avevamo) fatto e visto per anni.
Educati fin da piccoli, controllati per decenni a fare quello che bisogna fare. A restare nel coro, a cantare col coro, a non stonare, a rispettare il ritmo, le pause… Come poteva quel ragazzo osare stonare? Spiazzati, illuminati, disorientati. Inermi, senza alcuna strategia difensiva davanti al ribelle. Davanti a chi, come Chris, decideva di percorrere una nuova strada, la sua: con chi, quando, e per quanto tempo l’avrebbe deciso solo lui.

E si indignavano… Guardavano il film e deridevano Chris. Perché questo ragazzo, più o meno della loro stessa età all’epoca, aveva deciso di evadere, di liberarsi, da una vita riempita di poltrone belle e comode, televisori, camice stirate e ordine: ordine delle cose, dei giorni, dei mesi, della vita, delle persone, dei ceti sociali, delle inquietudini.
Ed io “ridevo”…

“La più alta forma di intelligenza umana è la capacità di osservare senza giudicare.”

Marco MR ©

Sentirsi in colpa

Sentirsi in colpa

Eravamo una quindicina di operatori in quell’ufficio e alcune postazioni non erano ancora state occupate. Luciana stava cercando altri kamikaze da arruolare. A parte Mariella e un’altra signora, il gruppo era composto interamente da ragazzi. Molti di questi laureati (e disperati), parcheggiati lì dentro in attesa di un miracolo.
Una volta laurearsi voleva dire quasi sempre assicurarsi una bella vita, già un diploma ne apriva di porte… Oggi con (solo) la maturità scientifica ti ci puoi pulire il culo. Si studia di più, si ottiene di meno. Prima il diploma, poi la laurea e, quindi, i vari corsi di specializzazione. Stage, tirocini, master e abilitazioni… tutte puttanate inventate ad hoc per spremere risorse, speranze, tempo e i miei poveri coglioni.
Se poi ti trovi in un paesino del cazzo nel Centritalia, sperduto tra gli Appennini, lontano da tutto e da tutti, dove non c’è nemmeno una cavolo di stazione ferroviaria, beh, la faccenda diventa ancora più complicata: sognare diventa veramente un lusso, se non alzi il culo e te ne vai. Se nasci figlio di operai rimani operaio, se nasci figlio del capo diventi il suo vice, mentre se tuo padre fa l’avvocato, allora, forse, hai già un posto riservato nel suo studio. Non è sempre così, ovviamente. Ci sono le eccezioni. Ci sono sempre le eccezioni… Ma io? Ero un’eccezione o ero solo un altro dei tanti illusi?
Per quanto tempo ancora potevo andare avanti sperando di realizzare i miei sogni? 
Studiare e sperare…

Forse esiste davvero un destino per tutti noi e, quasi sempre, non riserva altro che una vita ordinaria, priva di prospettive e con le solite problematiche: il conto in rosso, il conto alla rovescia, l’affitto a vita, la sveglia alle cinque e mai una vacanza. Poi, ti si cariano i denti e non hai nemmeno i soldi per farteli curare.
Ti senti in colpa per i soldi spesi negli studi, per un lavoro che non c’è e per un futuro che è sparito. Rubato… a un’intera generazione. Ti prendi finalmente la tua laurea del cazzo e un bel giorno scopri che l’unica possibilità che hai è quella di dannarti l’anima in un call center. Pensi all’estero, che cosa puoi fare? Andare a lavare i piatti in qualche ristorantino, friggere patatine in un fast food. Va bene, non c’è nulla di male, ma…

E, intanto, il senso di colpa cresce.
Poi, la vita continua, passa e dimentichi…

Mi è stato rubato il futuro e mi fanno anche sentire in colpa.

(1° capitolo, Sulla strada della Follia)

Marco MR ©

Voglia di normalità (e forse d’amore)

Voglia di normalità (e forse d’amore)

Cos’è quella sensazione che si prova quando, a una festa, capisci che…

che sei tu quello estraneo?
Che sei tu quello che non si diverte, mentre gli altri ballano;
e seduto in un angolino scopre che la ragazza notata poco prima sta baciando il suo ragazzo perfetto, il classico cazzone senza difetto;
che sei tu l’unico che non beve, perché ha problemi di ulcera,
e se ne va in giro col piatto in mano imbarazzato perché è l’unico, sempre l’unico, a non parlare con qualcuno.

E quando infreddolito dall’arrivo della sera torni a casa e in macchina ripensi a tutte queste cose, capisci che un po’, e tanto, ti dispiace, e che tutto sommato essere “normali”, ogni tanto, sarebbe bello. Che anche a te piacerebbe avere una ragazza, baciarla, ballarci e saltare. Prendere il caffè.
Ma non puoi. Perché… sei incasinato. Troppi dubbi. Chi sei… che malattia è questa?
Non sarebbe giusto, pensi, annichilire anche la sua esistenza.

Marco MR ©

La Paura che…

La Paura che…

La Paura mi svigorisce…
le gambe,
tutte le volte che devo uscire di casa e andare
da lei, da lui, da qualcuno, da chiunque.

La paura della gente.
L’imbarazzo, l’inadeguatezza. Disagio,
che diventa ansia. Cronica. Generalizzata.
La mia postura. Mi proteggo e mi riparo.

Anticipo il dolore. Il terrore. Fuggire e scappare.
Dove? Dov’è? Tornare a casa. Nella tana. Al sicuro, nel rifugio.
Lei.
Piango.

Gli sguardi, dei loro occhi. Il giudizio. Della mia persona. Il loro schifo.
Voce bassa. Bisbiglio per non sbagliare.
Inferiorità. Tutto è un fallimento.

La lunga corsa. Sfiancante. Il traguardo sempre troppo lontano.
Mai palpabile. Mai reale.
Nessun contatto.

Voglio uscire, ma ho paura.
Voglio uscirne, ma ho ancora più paura.

Marco MR ©