LEI

LEI

Ho scritto e cancellato questo pezzo ormai una decina di volte. Non ci riesco. Non ce la faccio. Mi si bloccano le dita, i pensieri, e non vado più avanti. Torno indietro per rileggere quel poco che ho scritto… e niente. Non mi piace e cancello. Strappo il foglio e ne prendo un altro. Ancora.
Foglio bianco. Le parole giuste.
Le parole giuste.
Che cavolo sto scrivendo?
Sto cercando le parole giuste, quelle che più di altre, più di tante, possano raccontare di te, di oggi, di noi, di sempre, di me.  

Ti ho riconosciuta, oggi, nei tuoi movimenti buffi. In quel sorriso, il tuo sorriso…
E ti ho conosciuta, per la prima volta, dopo due anni di silenzi e paure nascoste: sei una donna, non sei più la ragazza che ricordavo. Hai accorciato i capelli e il tuo sguardo… Chi sei? Con chi sto parlando?

Sei davvero tu quella che mi rivelò l’Amore?

(11° capitolo, Sulla strada della Follia)

Marco MR ©

Paralizzato a quell’ultimo Abbraccio

Paralizzato a quell’ultimo Abbraccio

 

Le sue parole e le sue promesse…

Si ritorna sempre, in un modo o nell’altro, a pensare all’unica follia grande e mai spenta del proprio cuore.
Passa il tempo, ma Lei è ancora presente, sempre bella, viva nei tuoi pensieri.
Sei cresciuto, sei andato avanti, hai fatto le tue esperienze e sei cambiato, tuttavia col battito del tuo cuore sei ancora là, paralizzato a quell’ultimo abbraccio di quell’ultima sera in macchina, quando fuori era umido e…

Aspetti,
dentro la follia,
dentro la folle fantasia,
dentro il folle amore che provi per Lei

(9° capitolo, Sulla strada della Follia)

Marco MR ©

Accettare di non essere più il suo sogno…

Accettare di non essere più il suo sogno…

Un po’ egocentrico, un po’ romantico…
Finisce l’amore, finisce una storia. Non ci si vede più. Non ci si sente più.

(L’appartenenza reciproca dei cuori)

Accettare di non essere più il suo sogno, restituirci i cuori e le promesse…
Scoprire che poteva essere felice anche senza di me, questo fu il colpo più duro.

(2° capitolo, Sulla strada della Follia)

Marco MR ©

Speravo sempre nella magia, dimenticandomi della realtà…

Speravo sempre nella magia, dimenticandomi della realtà…

Mi sarei voluto avvicinare, sorriderle e parlare. Invece…
Come a quella festa per i diciotto anni di un mio compagno di liceo. Fece le cose in grande: una casa enorme di campagna, con un giardino che pareva un labirinto, un centinaio di invitati, un buffet pazzesco e ovviamente un sacco di roba da bere. Arrivai e cercai subito un angolino isolato dove potermi sedere e passare il tempo senza disturbare. Per mia fortuna, tra le tante cose c’era pure una band che suonava musica dal vivo. Ci provava più che altro. Cover dei Guns N’ Roses, Aerosmith, Bon Jovi, Europe, Scorpions, ecc.; non era male come band, giusto il cantante…

Ascoltavo la musica e, intanto, picchiettavo con le dita il bracciolo della poltroncina a mo’ di batterista, finché i miei occhi casualmente si fermarono sulle dolci movenze di una sconosciuta, bella e sensuale come mai avevo visto prima. Ne rimasi incantato, come quando vedi la neve la prima volta!
Incapace ormai di distogliere lo sguardo, passai il resto della serata a osservare quella sconosciuta, sperando, un po’ ingenuamente, che fosse lei ad accorgersi di me. Tanto io, figuriamoci, in un contesto come quello non avrei avuto la minima chance. Troppo timido e impacciato.

Speravo sempre nella magia, dimenticandomi della realtà…

Scelse di amare qualcun altro, un bastardo qualunque, più coraggioso e bello di me, che la accompagnò fuori, in quel giardino labirintico, e…

(3° capitolo, Sulla strada della Follia)

Marco MR ©

Vagabondo

Vagabondo

Non voglio restare,
è l’unica cosa a cui riesco a pensare.
Non voglio restare,
è l’unica cosa di cui riesco a parlare.
 
Lo sguardo perso nel vuoto.
Il calore disperso nel cielo.
La bottiglia. I cartoni. Gli stracci.
L’immaginazione.
Sono in viaggio. Solo in viaggio…

Un foglio bianco.
Continuo a guardarlo,
continuo a leggerlo…
Io, in questo “mondo”,
non voglio restare!

(4° capitolo, Sulla strada della Follia)

Marco MR ©

Sentirsi in colpa

Sentirsi in colpa

Eravamo una quindicina di operatori in quell’ufficio e alcune postazioni non erano ancora state occupate. Luciana stava cercando altri kamikaze da arruolare. A parte Mariella e un’altra signora, il gruppo era composto interamente da ragazzi. Molti di questi laureati (e disperati), parcheggiati lì dentro in attesa di un miracolo.
Una volta laurearsi voleva dire quasi sempre assicurarsi una bella vita, già un diploma ne apriva di porte… Oggi con (solo) la maturità scientifica ti ci puoi pulire il culo. Si studia di più, si ottiene di meno. Prima il diploma, poi la laurea e, quindi, i vari corsi di specializzazione. Stage, tirocini, master e abilitazioni… tutte puttanate inventate ad hoc per spremere risorse, speranze, tempo e i miei poveri coglioni.
Se poi ti trovi in un paesino del cazzo nel Centritalia, sperduto tra gli Appennini, lontano da tutto e da tutti, dove non c’è nemmeno una cavolo di stazione ferroviaria, beh, la faccenda diventa ancora più complicata: sognare diventa veramente un lusso, se non alzi il culo e te ne vai. Se nasci figlio di operai rimani operaio, se nasci figlio del capo diventi il suo vice, mentre se tuo padre fa l’avvocato, allora, forse, hai già un posto riservato nel suo studio. Non è sempre così, ovviamente. Ci sono le eccezioni. Ci sono sempre le eccezioni… Ma io? Ero un’eccezione o ero solo un altro dei tanti illusi?
Per quanto tempo ancora potevo andare avanti sperando di realizzare i miei sogni? 
Studiare e sperare…

Forse esiste davvero un destino per tutti noi e, quasi sempre, non riserva altro che una vita ordinaria, priva di prospettive e con le solite problematiche: il conto in rosso, il conto alla rovescia, l’affitto a vita, la sveglia alle cinque e mai una vacanza. Poi, ti si cariano i denti e non hai nemmeno i soldi per farteli curare.
Ti senti in colpa per i soldi spesi negli studi, per un lavoro che non c’è e per un futuro che è sparito. Rubato… a un’intera generazione. Ti prendi finalmente la tua laurea del cazzo e un bel giorno scopri che l’unica possibilità che hai è quella di dannarti l’anima in un call center. Pensi all’estero, che cosa puoi fare? Andare a lavare i piatti in qualche ristorantino, friggere patatine in un fast food. Va bene, non c’è nulla di male, ma…

E, intanto, il senso di colpa cresce.
Poi, la vita continua, passa e dimentichi…

Mi è stato rubato il futuro e mi fanno anche sentire in colpa.

(1° capitolo, Sulla strada della Follia)

Marco MR ©