La vedi quella povertà…

È un pantalone di una tuta un po’ scolorito, è un giubbotto nero di una misura più grande, senza firme, senza cappuccio, e son le scarpe bianche da tennis, quelle poco “fashion” ma comunque comode per chi deve camminare tanto.
Una signora col sorriso deteriorato, dai denti caduti, capelli ricci e corti, perché così son più facili da gestire e non devi andare dal parrucchiere troppo spesso. È il portafoglio con le roselline, è il mento… è il mento alto di chi ha dignità da vendere. Non c’è spazio per l’apparenza, non c’è cura contro i dolori alla spalla e le tendiniti. Non importa. È la dignità. La dignità di chi sopravvive, di chi non sa scrivere, però, ogni tanto, legge, se può, se qualcuno gli regala un libro; è la dignità di chi corre tanto e non ha mai l’affanno, perché purtroppo, o per fortuna, ha i polmoni allenati da un’intera vita di corse e lotte, da un’intera vita di ansie e respiri profondi…

Questa è la dignità di una signora incontrata qualche giorno fa, mentre ero alle Poste. Seduto, aspettavo il mio turno. C18, un numero prima del mio. Bollette da pagare.

Smartphone, Sky, un auto nuova… No. Pane e verdure. Dignità…
Era lei, la signora Dignità.

Marco MR ©

Speravo sempre nella magia, dimenticandomi della realtà…

Speravo sempre nella magia, dimenticandomi della realtà…

Mi sarei voluto avvicinare, sorriderle e parlare. Invece…
Come a quella festa per i diciotto anni di un mio compagno di liceo. Fece le cose in grande: una casa enorme di campagna, con un giardino che pareva un labirinto, un centinaio di invitati, un buffet pazzesco e ovviamente un sacco di roba da bere. Arrivai e cercai subito un angolino isolato dove potermi sedere e passare il tempo senza disturbare. Per mia fortuna, tra le tante cose c’era pure una band che suonava musica dal vivo. Ci provava più che altro. Cover dei Guns N’ Roses, Aerosmith, Bon Jovi, Europe, Scorpions, ecc.; non era male come band, giusto il cantante…

Ascoltavo la musica e, intanto, picchiettavo con le dita il bracciolo della poltroncina a mo’ di batterista, finché i miei occhi casualmente si fermarono sulle dolci movenze di una sconosciuta, bella e sensuale come mai avevo visto prima. Ne rimasi incantato, come quando vedi la neve la prima volta!
Incapace ormai di distogliere lo sguardo, passai il resto della serata a osservare quella sconosciuta, sperando, un po’ ingenuamente, che fosse lei ad accorgersi di me. Tanto io, figuriamoci, in un contesto come quello non avrei avuto la minima chance. Troppo timido e impacciato.

Speravo sempre nella magia, dimenticandomi della realtà…

Scelse di amare qualcun altro, un bastardo qualunque, più coraggioso e bello di me, che la accompagnò fuori, in quel giardino labirintico, e…

(3° capitolo, Sulla strada della Follia)

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Libertà Estrema

Libertà Estrema

Mi divertiva guardare i loro volti mentre Chris bruciava i suoi soldi, mollava l’appartamento e partiva per l’ignoto con l’unico obiettivo di vivere la sua vita. Erano troppo in difficoltà, glielo si leggeva in faccia. Non concepivano proprio come uno di buona famiglia con la strada spianata verso il successo e la ricchezza potesse mandare tutto a quel paese e partire per l’incerto.
Guardavamo questo film insieme… e “ridevo”. Ridevo perché stavano (e stavamo) scoprendo il significato della libertà.
Svegliarsi tutte le mattine alla stessa ora, mangiare sempre alla stessa ora, tornare a casa sempre alla stessa ora; lavarsi, divertirsi, studiare, ecc.; sempre alla stessa ora. È questo che avevano (e avevamo) fatto e visto per anni.
Educati fin da piccoli, controllati per decenni a fare quello che bisogna fare. A restare nel coro, a cantare col coro, a non stonare, a rispettare il ritmo, le pause… Come poteva quel ragazzo osare stonare? Spiazzati, illuminati, disorientati. Inermi, senza alcuna strategia difensiva davanti al ribelle. Davanti a chi, come Chris, decideva di percorrere una nuova strada, la sua: con chi, quando, e per quanto tempo l’avrebbe deciso solo lui.

E si indignavano… Guardavano il film e deridevano Chris. Perché questo ragazzo, più o meno della loro stessa età all’epoca, aveva deciso di evadere, di liberarsi, da una vita riempita di poltrone belle e comode, televisori, camice stirate e ordine: ordine delle cose, dei giorni, dei mesi, della vita, delle persone, dei ceti sociali, delle inquietudini.
Ed io “ridevo”…

“La più alta forma di intelligenza umana è la capacità di osservare senza giudicare.”

Marco MR ©

Sentirsi in colpa

Sentirsi in colpa

Eravamo una quindicina di operatori in quell’ufficio e alcune postazioni non erano ancora state occupate. Luciana stava cercando altri kamikaze da arruolare. A parte Mariella e un’altra signora, il gruppo era composto interamente da ragazzi. Molti di questi laureati (e disperati), parcheggiati lì dentro in attesa di un miracolo.
Una volta laurearsi voleva dire quasi sempre assicurarsi una bella vita, già un diploma ne apriva di porte… Oggi con (solo) la maturità scientifica ti ci puoi pulire il culo. Si studia di più, si ottiene di meno. Prima il diploma, poi la laurea e, quindi, i vari corsi di specializzazione. Stage, tirocini, master e abilitazioni… tutte puttanate inventate ad hoc per spremere risorse, speranze, tempo e i miei poveri coglioni.
Se poi ti trovi in un paesino del cazzo nel Centritalia, sperduto tra gli Appennini, lontano da tutto e da tutti, dove non c’è nemmeno una cavolo di stazione ferroviaria, beh, la faccenda diventa ancora più complicata: sognare diventa veramente un lusso, se non alzi il culo e te ne vai. Se nasci figlio di operai rimani operaio, se nasci figlio del capo diventi il suo vice, mentre se tuo padre fa l’avvocato, allora, forse, hai già un posto riservato nel suo studio. Non è sempre così, ovviamente. Ci sono le eccezioni. Ci sono sempre le eccezioni… Ma io? Ero un’eccezione o ero solo un altro dei tanti illusi?
Per quanto tempo ancora potevo andare avanti sperando di realizzare i miei sogni? 
Studiare e sperare…

Forse esiste davvero un destino per tutti noi e, quasi sempre, non riserva altro che una vita ordinaria, priva di prospettive e con le solite problematiche: il conto in rosso, il conto alla rovescia, l’affitto a vita, la sveglia alle cinque e mai una vacanza. Poi, ti si cariano i denti e non hai nemmeno i soldi per farteli curare.
Ti senti in colpa per i soldi spesi negli studi, per un lavoro che non c’è e per un futuro che è sparito. Rubato… a un’intera generazione. Ti prendi finalmente la tua laurea del cazzo e un bel giorno scopri che l’unica possibilità che hai è quella di dannarti l’anima in un call center. Pensi all’estero, che cosa puoi fare? Andare a lavare i piatti in qualche ristorantino, friggere patatine in un fast food. Va bene, non c’è nulla di male, ma…

E, intanto, il senso di colpa cresce.
Poi, la vita continua, passa e dimentichi…

Mi è stato rubato il futuro e mi fanno anche sentire in colpa.

(1° capitolo, Sulla strada della Follia)

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Uno strano sogno

Uno strano sogno

Sono in Brasile per una vacanza. Ci sono andato insieme ad un mio amico. A dire il vero, ci sono andato solo per accompagnarlo. C’è una sua amica, italiana, che vive lì e gli ha chiesto di andare a trovarla almeno una volta. Ci ospita lei, in uno strano condominio grigio e nero. Circa quattro piani. Non ricordo esattamente…

È mattina. Siamo seduti in un bar grandissimo vicino alla spiaggia. Sembra una specie di molo in legno, dove tira molto vento. Il mare è ghiacciato, nonostante sia estate. E la sabbia sembra più dura rispetto a quella delle nostre spiagge. Non mi trasmette sicurezza quel posto. Ho paura di annegare. C’è acqua ovunque. Anche buona parte dello stesso molo-bar è immerso nell’oceano, tipo le palafitte di Bora Bora, solo che questo non è bello per niente. E l’acqua non è cristallina, ma blu scura. Come quando è profonda decine di metri, ed io ho paura dell’acqua blu scura e profonda. Ho sempre il timore che ci sia nascosto qualche essere mostruoso, il Kraken, che aspetta solo me per fare colazione. Tira un vento assurdo, ma la gente del posto dice che oggi si sta bene e il vento è calmo. Se lo dicono loro…

Stiamo aspettando l’amica del mio amico. Prenderemo un caffè, credo. Non so come funziona la colazione in Brasile. Poi andremo in spiaggia.

Eccola che arriva. È un po’ cicciottella. Ma bella. Simpatica a prima vista. Mora. Capelli ricci. È accompagnata da una sua amica. L’opposto di lei fisicamente, eccezion fatta per il colore dei capelli. Sembra antipatica. Pelle caramello.

Non faccio caso a lei. Non so ancora che me ne innamorerò perdutamente. Follemente…

Andiamo a fare una passeggiata. Il mare è pieno di ragazzi che cantano in cerchio. Il mare sembra più calmo e meno scuro. Gli ombrelloni sono colorati. Le case sono tutte piccoline e si somigliano tutte. Prendiamo uno strano sentiero. Macabro, sporco. Credo sia il letto di un fiume, senza più l’acqua.

Ad un certo punto, siamo solo in tre. Io, il mio amico e l’amica dell’amica del mio amico. Non so che fine abbia fatto l’amica del mio amico. Ma non sembra importarci.

Siamo giunti alla fine di questo strano sentiero e stranamente sbuca il molo-bar dove eravamo poco prima. Ma non c’è più l’acqua dell’oceano che prima mi terrorizzava. Non capisco…

Il mio amico inizia a correre per raggiungere subito il bar. Ed in quel momento capisco di essermi innamorato di lei. Dell’amica dell’amica. In un solo istante un tornado pazzesco di emozioni mi travolge. Cosa farà lei ora? Rimarrà a camminare con me, o correrà con lui? Cosa farà?

È la donna più bella del mondo e me ne accorgo solo ora. Vorrei che restasse, ho paura di perderla… eppure non sapevo nemmeno di volerla. I suoi capelli lisci. Lunghi.

A questo punto mi suona la sveglia. Faccio finta di nulla e continuo a sognare. Ma non vedo più nessuno. Sono solo io.

Esiste davvero quella ragazza? È possibile sognare il volto di chi non hai mai visto prima ed innamorartene? Ed è possibile restarci male perché lei dopo non c’era più?

La incontrerò mai nella realtà?

E se fosse andata via solo perché sono stato io a sparire per primo, in un attimo di tortura provocato dal suono indesiderato di una sveglia?

Marco MR ©

La Finestra dell’Ospedale

La Finestra dell’Ospedale

Sono chiuso in questo ospedale da giorni, all’interno di una piccola stanza con due posti letto. Il mio è quello vicino alla finestra. Se mi tiro un po’ su col collo riesco a vedere fuori la gente che passa. La signora anziana col bastone, giovani medici, qualche bambino che corre e i genitori.

In camera ogni tanto entra un’infermiera. Ogni tanto un amico.
Poi vanno via ed io rimango di nuovo da solo. L’altro letto non è occupato.

Non ci sono molte cose da fare in ospedale. Stai un po al PC, leggi, cerchi qualche sito per guadagnare dei soldi con Internet, ma nulla. Mi sento inutile. Tutto ciò che faccio sembra solo una specie di ripiego, una vano e disperato tentativo di sentirmi ancora vivo, quando di vita in me ce n’è rimasta ben poca. Sto bruciando.

Se potessi uscire almeno un giorno. Un solo giorno di vita sana e aria libera.
Se solo potessi trasferirmi nel corpo di qualcun altro e provare per un attimo cosa vuol dire stare bene, ridere, amare, baciare, fare l’amore, sentire, viaggiare, giocare, saltare, correre, nuotare, scherzare, dormire. Cosa vuol dire essere normali.

E mi dispiace […] Peccato, perché mentre gli altri vivono, io guardo, inerme, come uno spettatore che non può intervenire. Vorrei partecipare. Vorrei prendere parte anche io a questo film. Perché sento che sarei un gran bel protagonista… e invece sono solo uno sconosciuto, una comparsa costretta a starsene seduta sul letto bianco di una stanza bianca di un ospedale bianco che guarda la gente passare dalla finestra. Bianca.

Se solo potessi guarire. Se solo sapessi come guarire. Se solo sapessero come guarirmi.

Cosa farei se potessi uscire da questo ospedale? Se mi dicessero: “È tutto ok, vai pure”. Se tutto questo fosse solo un controllo di routine, come il collaudo della macchina: “Devi solo cambiare l’olio, e far sistemare la freccia”.  Cosa farei se potessi davvero alzarmi da questo letto, muovermi verso la finestra e fermare quelle persone che vedo passare ogni mattino…

Marco MR ©

L’Essenza

L’Essenza

In profondità…

Ero nel bel mezzo dell’oceano. Non chiedermi come ho fatto, non ne ho idea. Ero lì, in mezzo a tutta quell’acqua, e mi son tuffato. Senza un motivo. Nessun perché. E non avevo paura. Sapevo solo che dovevo farlo.

Così ho iniziato a nuotare. E in mezzo a tutto quel buio, sapevo esattamente in che direzione dovessi andare. Vedevo. E respiravo… Un sogno? No… Nuotavo, sempre più in profondità. Sicuro…

Ho raggiunto il fondale di quel mare a me sconosciuto. Una caverna non molto lontano. Una strana luce vi usciva. Che forza! Mi attirava e io… non mi opponevo. Era meravigliosamente piacevole farsi trasportare da quell’energia (vo)luminosa.

Cos’era?

L’Essenza!

Oltre la luce.

Poi un vortice. Mi ha risucchiato e catapultato altrove. Un nuovo Mondo. Le persone, le strade, i libri. Ogni singola cosa, ogni singola anima. Tutto era cambiato. Nuovi colori, nuove sfumature. Nuovi occhi…

Il potere dell’Essenza… era in me.

Marco MR ©